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Di chi sono i compiti a casa?

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24 Ott

Di chi sono i compiti a casa?

Da un po’ più di un mese la vita delle famiglie ha riacquistato un ritmo più regolare. La “grande cornice” è tornata a dare forma ad esistenze che si erano slabbrate, private di un prima e di un dopo, e con la sua ripresa la scuola ha portato con sé anche il riattivarsi delle attività sportive, artistiche, associative.

Insieme a tutto ciò si sono ripresentati però anche i compiti, o lo studio, per i bambini e i ragazzi di casa.
A partire dalla classe terza della primaria e per tutto il restante percorso scolastico diventa via via necessaria la revisione, lo studio, l’approfondimento che consentono l’appropriazione e l’effettiva metabolizzazione di quanto affrontato nelle ore scolastiche.

Qualsiasi richiesta degli insegnanti in questa direzione dovrebbe essere pensata perché gli studenti possano, per l’appunto, “ruminare” su quanto già fatto insieme in classe, con lo scopo di consolidare l’apprendimento ed eventualmente individuare zone d’ombra da chiarire, nuovamente insieme, in classe tra i compagni e chiedendo agli insegnanti.

Molti genitori, però, si trovano sin dall’inizio del percorso scolastico dei figli a presidiare il “momento compiti”, rendendolo così dipendente dalla loro attivazione e dalla loro presenza. Alcuni genitori si sentono coinvolti e addirittura responsabili in prima persona dei risultati scolastici dei figli, il cosiddetto “successo scolastico”, altri si trovano costretti a supportarli nel rispondere a richieste non sempre ben calibrate. Talvolta l’intervento diretto è esplicitamente sollecitato dagli insegnanti stessi.

Quali che siano le cause il risultato non cambia: bambini e ragazzini diretti da una volontà che non è la loro, che a volte cercano, tra l’altro, di contrastare e molte ore spiacevoli passate insieme da genitori e figli, oppure anche da nonni e nipoti.

Nella secondaria e nel biennio delle superiori l’intervento degli adulti è meno incisivo per quanto riguarda “i compiti” e diventa più apprensivo e preoccupato a controllare, ed eventualmente interrompere, comportamenti indesiderati con gli apparecchi elettronici.

Se nei primi anni di scuola stare vicini ai figli nei pomeriggi, sembrava essere una condizione necessaria o quantomeno inevitabile, col passare del tempo la condizione di “genitore coi compiti” diventa insostenibile per i genitori stessi e causa di un clima di perdurante tensione se non addirittura di veri e propri conflitti familiari.

Uscire da questo cortocircuito non è semplice né tantomeno veloce: non si può pretendere che un ragazzino passi da una condizione di quasi completa eterogestione nella quale non ha potuto sviluppare un’adeguata fiducia nelle proprie capacità ad una di autogestione solo perché d’improvviso si ritiene che sia “arrivato il momento”. Va imparato a fare, tanto per i ragazzi quanto per i genitori.

Per i bambini e i ragazzini si tratta di scoprire il gusto di compiere le proprie faccende da soli, secondo la loro personale modalità che comprende, inevitabilmente, anche il fare errori.

Per i genitori e in generale gli adulti che se ne occupano, significa creare le condizioni perché i bambini e i ragazzi possano fidarsi delle loro capacità scoprendo il piacere della responsabilità – etimologicamente capacità di dare le risposte – che è lo strumento principale della vera autonomia. Gli adulti possono concordare coi figli condizioni perché il lavoro autonomo sia vissuto non come distanza, separazione dagli altri, ma come un momento nel quale sperimentare il piacere di fare il proprio – dovere – in un clima familiare di interrelazione e coevoluzione. Nello specifico questo potrebbe poi tradursi nel racconto che un figlio, una figlia fa ai propri genitori di qualcosa che ha scoperto studiando e che potrebbe stimolare i genitori a saperne di più.

Un compito per i genitori potrebbe essere invece quello di imbastire un dialogo con gli insegnanti sul posto dei “compiti” nell’equilibrio delle giornate dei bambini e dei ragazzi. I genitori potrebbero accorgersi che il proprio figlio “annaspa”, perché alle prese con consegne di difficile comprensione, non commisurate agli strumenti messi in campo fino a quel momento durante le ore scolastiche. Potrebbero osservare che la propria figlia riceve un numero elevato di contenuti da studiare in una disciplina che unite a quelle delle altre discipline si traducono in ore e ore di studio. Sappiamo che ogni ragazzo, ogni ragazza ha tempi di lavoro differenti e un feed back sensato su come si compone il pomeriggio dei figli potrebbe aiutare gli insegnanti a tarare meglio quanto viene assegnato alla classe, in una prospettiva di collaborazione e coevoluzione tra le famiglie e la scuola.

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